Può un pianeta al di fuori della zona abitabile ospitare la vita? La risposta potrebbe risiedere nei fenomeni geotermici causati dal decadimento di elementi radioattivi all’interno del pianeta.

Nello spazio profondo, radioattività può significare vita. Nella ricerca di pianeti extrasolari, ossia pianeti al di fuori del sistema solare, un elemento imprescindibile per la vita è la presenza di un solvente allo stato liquido. Per una serie di motivi, si considera l’acqua come solvente ottimale; si definisce “zona abitabile” di un sistema stellare quella fascia concentrica di distanze dalla stella centrale entro la quale il calore da essa fornito è sufficiente a mantenere grandi bacini di acqua allo stato liquido per lunghi tempi. Il solo posizionamento favorevole di un pianeta non è sufficiente a garantirne l’effettiva abitabilità (devono essere soddisfatti anche un certo numero di altri requisiti), ma in genere si considera come la principale condizione necessaria. 

La zona abitabile di due stelle (il Sole e Gliese 581) messe a confronto. A masse stellari maggiori corrispondono distanze maggiori della zona abitabile.

Eppure potrebbe non essere così: anche un pianeta solitario, non legato gravitazionalmente ad alcuna stella (quello che viene chiamato pianeta interstellare) potrebbe ospitare la vita. Un recente articolo, pubblicato sulla rivista Astrophysical Journal Letters, descrive l’ipotesi che una “Super-Terra”, un pianeta roccioso di massa pari a qualche volta quella terrestre, possa ospitare oceani duraturi, abbastanza da permettere il mantenimento di qualche forma di vita, a patto che sia abbastanza radioattivo.  

Solitamente guardiamo alla radioattività con diffidenza, e non a torto. Ma la Terra è stata in passato molto più radioattiva che nel presente, e la vita ha potuto formarsi comunque. Certo, una vita molto diversa da quella che molti considerano “intelligente”. Se però non facciamo troppo gli schizzinosi e andiamo a guardare le forme di vita meno complesse, esistono molti organismi che offrono un’ottima resistenza alle radiazioni ionizzanti, come il batterio Deinococcus radiodurans. Tra gli animali, se la cavano molto bene i tardigradi o anche le comuni blatte.

Attualmente, isotopi radioattivi come il potassio-40, il torio-232 e l’uranio-238 si trovano sparsi in quantità abbastanza basse nella crosta e nel mantello terrestre, e continuano a decadere emettendo calore. Questo calore, peraltro, permette i moti convettivi del mantello, da cui deriva la tettonica a zolle. Un pianeta geologicamente attivo permette il ricambio delle sostanze e dei minerali implicati nei processi vitali, e ha maggiori chance di ospitare la vita.

Comunque, man mano che questi elementi decadono, la loro abbondanza decresce. La quantità di potenza termica da loro emessa sulla Terra è all’incirca un trentamillesimo di quella ricevuta dal Sole, e non sarebbe di per sé sufficiente a sostenere la presenza di grandi quantità di acqua liquida.

Inoltre, dopo la loro formazione, i pianeti mantengono per un certo periodo un po’ di calore residuo derivante dal loro collasso gravitazionale. Gli astrobiologi Avi Loeb e Manasli Lingam del Florida Institute of Technology hanno elaborato dei modelli in cui hanno messo insieme questo calore residuo e quello generato dal decadimento di vari elementi radioattivi per fare previsioni sulla temperatura superficiale dei pianeti, utilizzando anche altri due liquidi (etano e ammoniaca, entrambi presenti nel Sistema Solare) come possibili solventi.

Il risultato è che, per ospitare oceani di acqua liquida sulla sua superficie, un pianeta dovrebbe contenere elementi radioattivi in quantità mille volte maggiore rispetto alla Terra. Se invece scegliamo l’etano, è sufficiente un’abbondanza di isotopi radioattivi “appena” cento volte superiore a quella terrestre (per l’ammoniaca, i valori richiesti sono più o meno intermedi tra questi due).

In entrambi i casi, dato che questi elementi sono in genere più pesanti di quelli che compongono la maggior parte del volume terrestre, il pianeta in questione dovrebbe essere decisamente più denso: da qui la necessità di avere una super-terra. I livelli di radioattività probabilmente sarebbero troppo alti per la vita animale o vegetale, ma per Deinococcus radiodurans o eventuali procarioti affini non dovrebbero rappresentare un problema particolare. La domanda a questo punto è: un pianeta simile potrebbe esistere? E come potremmo trovarlo?

Secondo i ricercatori, un pianeta simile potrebbe formarsi vicino al centro delle galassie come la nostra, nella regione chiamata “bulbo galattico”, dove elementi come il torio e l’uranio vengono prodotti dalle collisioni tra stelle di neutroni; le stesse collisioni che producono un tipo ben riconoscibile di onde gravitazionali, e che hanno maggiori probabilità di verificarsi dove la galassia è più affollata – ossia appunto vicino al centro.

Un pianeta con queste caratteristiche sarebbe molto raro e difficile da trovare, e potrebbe rappresentare una sfida all’altezza del nuovo telescopio spaziale James Webb, il cui lancio è previsto per il marzo del 2021. Se non ritarda ancora

Per saperne di più:

Lingam & Loeb, On the Habitable Lifetime of Terrestrial Worlds with High Radionuclide Abundances (2020), Astrophysical Journal Letters 889 vol, 1, doi.org/10.3847/2041-8213/ab68e5

Immagine di copertina:  pianeta vulcanico di Lev Savitskiy/Shutterstock