L’olio di palma sta vivendo momenti duri. Fino a pochissimo tempo fa era bellamente presente in moltissimi prodotti di largo consumo, oggi tutti fanno a gara a segnalare con più forza che no, nella nostra merendina, nel nostro biscotto non c’è olio di palma. Nemmeno in questo post c’è olio di palma.
La prima domanda che ci sorge spontanea è “cos’è quest’olio di palma?” e la risposta non è ovvia, almeno non a giudicare da quello che si sente in giro. L’olio di palma si ottiene dal frutto di tre differenti varietà di palme, l’africana Elaeis guineensis e le americane Elaeis oleifera e Attalea maripa. A prima vista l’olio di palma non è quindi così diverso dall’olio di oliva, cambia solo il frutto da cui viene estratto. Un primo problema sorge però quando vogliamo usare questo olio di palma per cucinare: appena estratto si presenta rossastro ed è caratterizzato da un aroma piuttosto deciso. A differenza dell’olio di oliva, l’olio di palma va raffinato per poter essere utilizzato come sostituto del burro.
Una volta raffinato, iniziano i vantaggi. L’olio di palma è ricco di grassi saturi, è economico e molto stabile. I grassi sono formati da molecole di tue tipi unite tra loro, in particolare un gliceride e uno o più acidi grassi. Questi acidi grassi contengono catene di atomi di carbonio legati tra loro, a cui sono legati atomi di idrogeno o gruppi ossidrili. I grassi formati da acidi in cui tutti i legami tra gli atomi di carbonio sono semplici si chiamano saturi, quelli in cui esistono uno o più legami doppi insaturi. Ogni legame doppio tra due atomi di carbonio può essere sostituito da un legame semplice se a ciascun carbonio leghiamo un atomo di idrogeno: questo processo si chiama saturazione o idrogenazione. L’olio d’oliva, come la maggior parte degli oli vegetali, è ricco di grassi insaturi e si presenta a temperatura ambiente in forma liquida. Il burro, come la maggior parte dei grassi animali, è ricco di grassi saturi e si presenta semisolido: tra i grassi di origine vegetale, solo il burro di cacao, l’olio di cocco e quello di palma, sia questo prodotto con i frutti che, ancora di più, quello prodotto con i semi, sono abbastanza saturi da presentarsi simili al burro.
Sotto il punto di vista nutrizionale, i grassi saturi sono meno tollerati dall’organismo di quelli insaturi. Anche se esistono controversie tra studi scientifici non concordanti, c’è un generale accordo sul fatto che una dieta ricca di grassi saturi e povera di grassi insaturi possa aumentare i rischi cardiovascolari e di insorgenza di tumori. Questo a prescindere dal fatto che il grasso sia di origine animale o vegetale: l’acido palmitico è uno di questi acidi grassi saturi, ed è dominante sia nell’olio di palma che nel salmone, per esempio, mentre il secondo componente dell’olio di palma è l’acido oleico, dominante nell’olio di oliva.
A questo punto sorge la seconda domanda: “perché usiamo così tanto olio di palma?”. Ne usiamo così tanto, fondamentalmente, perché usiamo molto grasso e perché tra i grassi alimentari l’olio di palma è insieme economico e versatile. Questo ha fatto sì che la produzione mondiale, dal 1962 al 2008 passasse da mezzo milione a quasi 50 milioni di tonnellate, mentre per il burro, dal 1961 al 2001, si è passati da poco più di 5 milioni di tonnellate a circa 8 milioni di tonnellate. In questi ultimi anni, per fare un ulteriore confronto, la produzione di olio d’oliva è attestata intorno ai 3 milioni di tonnellate l’anno. Visti così, i numeri ci fanno pensare che senza olio di palma saremmo nei guai: cosa usavamo quando la produzione era un centesimo di quella attuale? Andando a prendere una scatola di biscotti degli anni Ottanta, leggeremmo probabilmente “grassi idrogenati”. Allora era usuale utilizzare grassi vegetali insaturi artificialmente trasformati in grassi saturi: la margarina è un esempio, allora era composta fondamentalmente di grassi saturati artificialmente, mentre oggi è composta di grassi vegetali saturi. L’idrogenazione dei grassi è stata sostanzialmente abbandonata, perché complicata, poco semplice dal punto di vista del tracciamento della filiera e non esente da rischi alimentari.
Rispetto ad altri grassi, in buona sostanza, l’olio di palma ha due difetti: è ricco di grassi saturi come il burro e viene trattato per la chiarifica come gli oli vegetali “non extravergini”, cioè va incontro a un processo di raffinazione chimica prima di essere consumato, non solo a spremitura meccanica. Per questi motivi sarebbe opportuno limitarne l’assunzione, anche se non sono cose terribili in senso stretto. Un motivo che crea molte proteste contro l’olio di palma è il fatto che, per impiantare coltivazioni di palme da olio, in alcuni paesi si distrugge l’habitat di molti animali, tra cui l’orangutan. Questo punto di vista etico è sicuramente valido e rispettabile, ma vanno ricordati due aspetti. Il primo è che esiste un consorzio di certificazione della produzione di olio di palma sostenibile (Roundtable for Sustainable Palm Oil, RSPO) e la produzione per ettaro è dalle 5 alle 10 volte più abbondante che per gli altri oli vegetali. Per sostituire l’olio di palma che usiamo attualmente con olio di soia, il più consumato del mondo, avremmo bisogno di piantagioni di soia 8 volte più grandi delle attuali piantagioni di palme da olio.
Per concludere, vorrei proporvi una semplicissima ricetta senza olio di palma, per farvi in casa dei frollini che vi daranno sicura dipendenza e non ne vorrete mai più altri.
Ingredienti
- 250g di farina
- 80g di burro
- 1 uovo
- 80g di zucchero
- una bustina di lievito chimico
- “altre cose”
Preparazione
Fate un impasto con tutti gli ingredienti, considerando che “altre cose” può voler dire gocce di cioccolato, semi di finocchio, scorza di limone grattugiata, vaniglia o qualcos’altro di vostro gradimento, stendete l’impasto fino a uno spessore di 3-5mm, tagliate i frollini, metteteli in una teglia e in forno a 180º finché non prendono colore. Aspettate che siano freddi per rimuoverli dalla teglia e mangiateli, con o senza tè.
Immagine di copertina: frutti della palma da olio, Tristan Tan by Shutterstock