Mettiamo in atto interazioni sociali con gli altri ogni giorno in modo così automatico che di rado ci chiediamo come ci riusciamo. La dottoressa Uta Frith ha contribuito in modo eccezionale a sviluppare in modo in cui studiamo le abilità sociali.
Uta Frith è una scienziata contemporanea, forse non molto conosciuta in Italia, che ha contribuito a rivoluzionare la nostra conoscenza dei disturbi dello spettro autistico e delle nostre abilità sociali.
Dopo aver frequentato un liceo classico maschile, Uta Frith si è iscritta all’Universität des Saarlandes, in Germania. Qui Uta ha approcciato diverse discipline tra cui studi slavi, filosofia e storia dell’arte per poi assestarsi sullo studio della psicologia cognitiva e sperimentale. Negli anni ‘60 del secolo scorso, la psicologia cognitiva era dominata dalla lingua inglese. Quindi per poter continuare a lavorare in questo campo che la affascinava, Uta si trasferì a Londra ottenendo un dottorato di ricerca e diventando una delle massime autorità nel campo della psicologia dello sviluppo.
Alcune delle ricerche per le quali è più conosciuta sono i suoi lavori sul disturbo dello spettro autistico. Uta e i suoi collaboratori furono i primi a notare che individui affetti da un disturbo dello spettro autistico hanno specifiche difficoltà nel riuscire a formare una rappresentazione della mente delle persone attorno a loro, cio e di ciò che gli altri credono e pensano. Questa rappresentazione della mente altrui viene chiamata Teoria della Mente. Quasi sempre quando interagiamo con altri esseri umani cerchiamo di inferire dalle loro azioni ciò che l’altro pensa o crede. In questo modo possiamo prevedere ciò che farà in seguito o possiamo capire come meglio agire all’interno della interazione sociale stessa. Sembra complicato ma in realtà lo facciamo in modo talmente automatico che nelle occasioni in cui la Teoria della Mente fallisce la situazione si fa comica, o tragica, molto in fretta.
Per capire meglio il ruolo della Teoria della Mente vi propongo lo stesso esperimento sviluppato da Uta e dai suoi collaboratori per testare questa capacità negli individui affetti da disturbo dello spettro autistico. Immaginate due bambine che giocano insieme, Sally e Anne. Sally ha un cesto e una palla, Anne ha una scatola. Sally dopo aver giocato con la palla la ripone nel cesto ed esce dalla stanza. Mentre Sally non può vedere, Anne sposta la palla dal cesto alla scatola. Considerando che il contenuto del cesto coperto e della scatola chiusa quando Sally tornerà nella stanza dove cercherà la palla?
Probabilmente concorderete nel rispondere che Sally cercherà la palla nel cesto perché non può sapere che sia stata spostata. Gli individui affetti da disturbo dello spettro autistico, invece, rispondono indicando la scatola e non riescono quindi a prevedere il comportamento di Sally. L’interpretazione di questo risultato è che i disturbi dello spettro autistico portano a un’impossibilità di immaginare ciò che gli altri attorno a noi credono, pensano, intendono, sanno. L’incapacità di rappresentarsi la mente di Sally porta ad analizzare il mondo usando ciò che si sa, e cioè che la palla è nella scatola. Non sappiamo ancora cosa causi questa difficoltà, ma il contributo di Uta Frith e collaboratori ha cambiato in modo eccezionale come gli scienziati studiano le abilità sociali, sia negli esseri umani che in altri animali.
I contributi di questa ricercatrice però non sono stati solo scientifici. Uta è infatti anche molto impegnata nel promuovere la partecipazione e l’avanzamento delle donne nella scienza, sia sviluppando reti di supporto e associazioni dedicate, che scrivendo blog per aumentare la presa di coscienza sulla presenza di stereotipi e pregiudizi di genere.
Uta ha avuto una formazione umanistica e dichiara che il suo principale modello è stata sua madre, la quale ha abbandonato la scuola a 14 anni ma è sempre stata appassionata di musica, arte e poesia. Questo avalla due considerazioni importanti. Innanzitutto le discipline umanistiche e scientifiche non si escludono mutualmente, anzi dovrebbero essere più mescolate e armonizzate. Inoltre la storia di Uta ci insegna che non esistono discipline da maschi e discipline da femmine, esistono solo curiosità e creatività.
Per saperne di più
Baron-Cohen, S., Leslie, A. M., & Frith, U. (1985). Does the autistic child have a “theory of mind”. Cognition, 21(1), 37-46.
https://tenureshewrote.wordpress.com/
https://sites.google.com/site/utafrith/Home?authuser=0
immagine di copertina: autismo stock photo from Lightspring/Shutterstock
Ciao, non ho capito come mai chi ha il disturbo dovrebbe indicare la scatola. Mi aspetterei che indichino la scatola o il cesto con probabilita’ 50 e 50, cosa fa loro scegliere la scatola invece del cesto?
Ciao Roberto, grazie per la domanda cerco di essere più chiara. I partecipanti all’esperimento hanno una prospettiva esterna, come se guardassero un fumetto (in effetti insieme al racconto della storia vengono mostrati i disegni dei singoli passaggi). Di conseguenza i partecipanti sanno tutto quello che succede, compreso il fatto che Anne ha spostato la palla mettendola nella scatola. Il risultato più interessante è proprio il fatto che pazienti affetti da disturbo dello spettro autistico non scelgono a caso ma scelgono la scatola che loro sanno contenere la palla. L’interpretazione è che non riescano a prendere la prospettiva di Sally che non può sapere che la palla è nella scatola. Loro sanno che la palla è nella scatola quindi se qualcuno deve cercare la palla la deve cercare nella scatola perché è lì che si trova.
Spero di essermi spiegata meglio!
Secondo me noi non cerchiamo di capire quello che fanno gli altri, ma ci immedesimiamo . Quindi se io ho lasciato la palla nel cesto, la ricercherei la. Perchè non ho altre informazioni . Se non mi immedesimo che succede? Rimango me stesso, e l’informazione che io conosco è quella che la palla è stata spostata e quindi andrò a cercarla nella scatola .
Ciao Marco, grazie per il tuo commento!
Esatto, la Teoria della Mente riguarda proprio la capacità di sapersi immedesimare negli altri, che diventa possibile solo se a livello cognitivo il nostro cervello è in grado di formare una rappresentazione di quello che gli altri pensano e dei motivi per cui portano a termine determinate azioni.
Questa capacità di immaginare e capire ciò che guida le azioni degli altri ci permette anche di prevedere come altre persone si comporteranno in risposta a determinati stimoli o in determinate situazioni.