In seguito alle allarmanti notizie provenienti dall’Africa Occidentale, abbiamo nuovamente intervistato Giovanni Maga, virologo CNR che avevamo già intervistato tempo fa.
Un paio di mesi fa l’epidemia sembrava grave ma sotto controllo, se non in diminuzione. Cosa è cambiato nelle ultime settimane?
L’epidemia di Ebola nell’Africa centro-occidentale continua a riguardare tre Stati: Guinea, Liberia e Sierra Leone. I focolai più virulenti attualmente sono a Kailahun e Kenema in Sierra Leone e a Lofa e Montserrado in Liberia. In totale, sono stati riportati più di 800 casi dall’inizio dell’epidemia con oltre 500 decessi. Pur trattandosi di piccoli numeri rispetto alla popolazione totale, tuttavia si tratta della più significativa epidemia di Ebola mai registrata. Ci sono i primi segni di rallentamento dell’epidemia in Guinea, con un solo caso segnalato nelle ultime due settimane. Se questo trend si dovesse confermare, allora si potrà dichiarare terminata l’epidemia in Guinea. Questo dimostra che le misure di prevenzione sono efficaci.
I costanti aggiornamenti della WHO informano su un numero di morti preoccupante e un’area di contagio in espansione. Ormai l’emergenza sembra interessare tutta l’Africa Occidentale. Quali azioni sta mettendo in atto la WHO per contenere l’epidemia? E con quali difficoltà?
Ebola è presente in Africa centrale dalla fine degli anni ’70. Storicamente, le epidemie di Ebola, che si sono susseguite ininterrottamente in questi anni, hanno sempre riguardato la regione compresa tra Congo, Sudan, Uganda e Gabon, dove si pensa che il virus sia emerso per la prima volta nell’uomo, probabilmente a partire da un virus dei pipistrelli del genere Pteropus, attraverso una catena di trasmissioni che coinvolge altri mammiferi tra cui antilopi, scimpanzé e gorilla. E’ la prima volta che un’epidemia si verifica così ad occidente. Tuttavia la cosa non deve sorprendere. L’areale di diffusione dei pipistrelli comprende tutta l’Africa sub-Sahariana. Quindi, potenzialmente, il virus può emergere anche in zone diverse da quelle in cui è comparso la prima volta. Anzi, nella storia naturale delle infezioni virali cosiddette “emergenti”, spesso si assiste a un ampliamento della zona di diffusione negli anni successivi alla loro comparsa. Questo dipende da vari fattori, inclusi quelli che influenzano la demografia degli ospiti naturali del virus (pipistrelli in questo caso) e le dinamiche della catena di trasmissione all’uomo, che al momento conosciamo poco. Ricordiamo che un caso di Ebola era stato riportato in Costa d’Avorio (paese confinante con l’attuale zona epidemica) nel 1994.
Il 2 e 3 Luglio si è tenuta una riunione ad Accra, in Ghana, in cui sono intervenuti rappresentanti dell’OMS e di 11 paesi Africani, potenzialmente interessati a una eventuale diffusione dell’epidemia. Sono state definite le priorità per contenere l’infezione. In particolare si è ribadita la necessità di coinvolgere tutti gli attori presenti sul territorio, dalle autorità sanitarie alle ONG e organizzazioni di assistenza religiose, per fare opera di prevenzione (spiegando i comportamenti da adottare per evitare il contagio) e di sorveglianza (per identificare rapidamente i nuovi focolai). Le difficoltà maggiori sono sia di ordine culturale (difficoltà nel limitare ad esempio le pratiche funerarie tradizionali che prevedono lo stretto contatto tra i parenti e le vittime, con possibilità di contagio, oppure diffidenza verso gli operatori “stranieri” spesso accusati di aver causato loro l’epidemia), sia demografico (spostamenti frequenti della popolazione all’interno dell’area interessata dall’epidemia che sono difficili da controllare e limitare anche a causa delle particolari caratteristiche geografiche della zona). Inoltre, i paesi colpiti hanno infrastrutture sociali e sanitarie molto fragili e poco sviluppate. La diagnosi di Ebola nei primi stadi non è facile, in quanto i sintomi possono essere facilmente confusi con quelli dovuti a colera, malaria, meningite, tifo e febbri tifoidi o altre febbri emorragiche. La diagnosi definitiva dei casi sospetti viene fatta grazie a test sierologici.
Quali sono (se esistono) gli sviluppi da un punto di vista del trattamento medico della malattia?
Sono al momento allo studio e in sperimentazione clinica sia vaccini che farmaci. Tuttavia nessuno di questi è ancora disponibile e non lo sarà per alcuni anni. Il problema di Ebola è che la ricerca su questo virus, proprio per l’elevata patogenicità, può essere fatta solo in pochi centri nel mondo, dotati di laboratori di massima sicurezza. Questo ovviamente costituisce un limite rilevante. Vorrei però fare notare come, in assenza di un’epidemia, siano molte le voci critiche sul fatto che si facciano esperimenti su virus pericolosi come Ebola (basti pensare alle polemiche seguite recentemente a studi sulla trasmissibilità all’uomo del virus dell’influenza aviaria), salvo poi chiedere a gran voce una cura quando questi virus colpiscono. Non c’è cura senza ricerca, una cosa che tutti dovrebbero sempre tenere a mente.
Al momento, il trattamento prevede la terapia intensiva del paziente volta a sostenerne le funzioni vitali, intanto che il suo sistema immunitario combatte l’infezione. L’elevato tasso di mortalità del virus è anche da mettere in relazione alla difficoltà di fornire assistenza di livello elevato nelle zone colpite. Un’epidemia di Ebola nei nostri paesi (ipotesi del tutto teorica e molto improbabile), avrebbe certamente un profilo differente.
Con l’aggravarsi della situazione, nuove voci e parecchia disinformazione si fanno sentire anche in Europa e in Italia. E’ aumentato il pericolo per noi?
Ricordiamo quali sono le modalità di trasmissione:
– Il virus resta in incubazione tra i 2 e i 20 giorni, ma durante questo periodo il paziente non trasmette la malattia.
– L’infezione avviene esclusivamente attraverso il contatto diretto con i fluidi corporei di un paziente sintomatico (sangue, secrezioni mucose, urina, saliva, sperma). In particolare, il liquido seminale può essere fonte di infezione fino a due mesi dopo la guarigione del paziente.
– L’OMS non raccomanda nessuna restrizione nei viaggi anche nelle aree interessate dall’epidemia. Infatti, il rischio di contrarre il virus semplicemente per essere presenti nell’area di contagio è bassissimo. Le persone maggiormente a rischio sono invece gli operatori socio-sanitari e i familiari dei pazienti.
– Dato che la comparsa dei sintomi precede il periodo in cui la persona ammalata è contagiosa, il rischio di diffondere la malattia anche in seguito a spostamenti in aereo o con mezzi di trasporto è molto basso, in quanto la sintomatologia è piuttosto severa (febbre alta improvvisa, estrema debolezza, dolori muscolari diffusi) e quindi porterebbe il paziente a cercare immediatamente assistenza medica e ne limiterebbe comunque i movimenti, costringendolo a letto.
Per queste ragioni si può concludere che Ebola non costituisce un pericolo al di fuori delle aree in cui questo virus è normalmente presente (Africa Subsahariana).
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