L’occhio è parte del sistema sensoriale a cui di solito ci affidiamo maggiormente. Come fa a trasformare la luce in un segnale comprensibile dal cervello?
Vedere il mondo significa riuscire a tradurre le onde elettromagnetiche che formano la luce in impulsi di corrente elettrica che il nostro cervello riesce a interpretare. Questa trasformazione della luce in un segnale elettrico, chiamata trasduzione del segnale, avviene nel sistema visivo, più precisamente in un tessuto, chiamato retina, presente al fondo dell’occhio.
La luce entra nell’occhio attraverso la pupilla, che è una fessura posteriore alla cornea e la quantità di luce che entra viene regolata allargando e stringendo la pupilla. Questo è compito dell’iride, che è in effetti un muscolo.
Il fascio di luce che entra dalla pupilla viene quindi fatto convergere sulla retina in fondo all’occhio grazie ad una lente, il cristallino, la cui curvatura può essere modificata per mettere a fuoco diversi piani, più vicini o più lontani dall’osservatore.
Anatomia dell’occhio.
La retina è un tappeto di fotorecettori, cioè cellule sensibili alla luce, e quando un fotone ne colpisce uno la configurazione di alcune proteine del fotorecettore stesso si modifica causando una cascata di reazioni metaboliche che porta a modificare la polarizzazione della membrana della cellula. A riposo, la membrana dei fotorecettori ha un potenziale di circa -40mV, mentre l’assorbimento del fotone la porta a -65mV.
La differenza di potenziale causa la chiusura di alcuni canali presenti sulla membrana cellulare del fotorecettore diminuendo la fuoriuscita di neurotrasmettitore. I neurotrasmettitori sono molecole che vengono rilasciate nello spazio tra due neuroni, chiamato sinapsi, e rappresentano un segnale chimico che permette alle cellule di comunicare. Questo è possibile perché il neurone post-sinaptico, cioè quello che non ha rilasciato il segnale chimico, ha sulla sua membrana dei recettori ai quali il neurotrasmettitore si può legare causando reazioni metaboliche nel neurone post-sinaptico stesso. L’uso dei neurotrasmettitori permette all’informazione di essere passata da un neurone al successivo. In questo modo il fotorecettore segnala ai neuroni successivi quando un fotone li ha colpiti e questa informazione viene trasportata fino al cervello.
I fotorecettori sono di due tipi: coni e bastoncelli. Un’importante differenza tra coni e bastoncelli è il tipo di proteina usata all’interno del fotorecettore per catturare i fotoni di luce. Diversi tipi di proteine infatti cambiano la sensibilità alla lunghezza d’onda della luce che li colpisce. I bastoncelli hanno un solo tipo di proteina, chiamata rodopsina, che non fa distinzioni tra diverse lunghezze d’onda. Al contrario, i coni possono avere uno di tre diversi tipi di proteina ognuna sensibile ad una lunghezza d’onda diversa: lunga, media, corta. I coni quindi “vedono” i colori.
Inoltre, i coni sono maggiormente presenti al centro della retina, in un’area chiamata fovea, dove la densità di fotorecettori è molto alta ed hanno campi recettivi più piccoli quindi ci permettono di vedere più dettagli. I bastoncelli al contrario sono maggiormente presenti nella periferia della retina, hanno campi recettivi più grandi e sono più sensibili a piccole quantità di luce. Questo vuol dire che rendono possibile vedere in condizioni di bassa illuminazione ma si saturano velocemente perdendo sensibilità in condizioni di forte illuminazione.
Per testare la nostra visione con i bastoncelli possiamo provare a spegnere tutte le luci di casa durante una notte stellata. Inizialmente ci sembrerà di non riuscire a vedere niente, poiché i bastoncelli sono ancora saturati dalla forte illuminazione precedente e per i coni non c’è abbastanza luce, ma lentamente i bastoncelli si de-saturano e cominciano a rispondere alla luce debole permettendoci di ricominciare a vedere.
Noterete però che i dettagli sono meno definiti e che la scena che si presenta davanti ai vostri occhi è praticamente in bianco e nero. Inoltre, vi è mai successo di riuscire a vedere una piccola stella con la coda dell’occhio ma nel momento in cui girate gli occhi per fissarla sparisce? Questo succede perché i bastoncelli, capaci di percepire luminosità più deboli, sono più densi nella periferia dell’occhio. Quando, invece, giriamo gli occhi per fissare un oggetto lo portiamo nella fovea, la parte centrale dove i coni sono preponderanti. Guardare gli oggetti con la fovea è solitamente un’ottima strategia poiché così possiamo identificarne i dettagli, ma nel caso di troppo bassa luminosità la periferia dell’occhio può darci qualche informazione in più.
Una caratteristica interessante dei fotorecettori è che mentre la luce deve arrivare sul fondo della retina per essere assorbita, i recettori si sviluppano verso la parte frontale dell’occhio, allontanandosi dal fondo della retina (come rappresentato nella figura qui sotto). I neuroni che rispondono al cambio di polarizzazione della membrana dei fotorecettori devono essere a contatto con la membrana stessa e quindi si trovano ancora più vicini al centro dell’occhio. Questi ultimi, però, devono a loro volta comunicare l’informazione al cervello, che è posteriore alla retina. Questa organizzazione fa si che nella retina si crei un punto cieco. Per trasportare l’informazione i neuroni rilasciano una scarica elettrica, chiamata potenziale d’azione, che viaggia attraverso un’appendice della cellula, chiamata assone.
Tutti gli assoni delle cellule post-retiniche vengono raccolti in un fascio, il nervo ottico, che si dirige verso il cervello passando attraverso la retina e creando quindi, letteralmente, un buco nella retina stessa. Se foste curiosi di misurare il vostro punto cieco, c’è un facilissimo esperimento da fare, descritto qui, che richiede solo carta e penna con il quale potete vedere il vostro punto cieco.
Rappresentazione dell’organizzazione delle cellule nella retina.
L’informazione visiva però non viene semplicemente trasportata dalla retina al cervello così com’è. Prima del nervo ottico, alcuni neuroni, chiamati cellule orizzontali, fanno in modo che l’informazione proveniente da diversi fotorecettori influenzi più di un neurone post-retinico in modo, appunto, orizzontale. Questa cross-interazione permette di mantenere costante la luminanza dello stimolo e quindi la nostra sensibilità al contrasto. Come mai questa è una caratteristica importante? Perché ci permette di mantenere costanti i rapporti di luminanza a prescindere dalle condizioni di luminosità.
Se mettiamo vicini due fogli, uno bianco e uno grigio, sia all’ombra che sotto il sole per noi il foglio bianco resta bianco mentre quello grigio resta grigio. Questo è vero anche se il foglio bianco dentro casa è probabilmente meno luminoso di quello grigio alla luce del sole. Questa caratteristica rende la nostra rappresentazione del mondo più stabile anche se allo stesso tempo ci rende suscettibili ad alcune interessanti illusioni ottiche (un buon esempio è la scacchiera di Adelson).
Un recente studio condotto al Massachusetts Institute of Technology (MIT) suggerisce che questa caratteristica della visione sia innata. In questo studio, i ricercatori hanno testato un gruppo di bambini e ragazzi affetti da cataratta congenita ai quali la cataratta non è stata rimossa fino a 8 – 17 anni. Entro quarantotto ore dall’operazione i ricercatori hanno testato se questo gruppo fosse suscettibile alle illusioni ottiche legate alla luminosità allo stesso modo di bambini e ragazzi con sviluppo visivo tipico.
I risultati della ricerca hanno mostrato che il gruppo di bambini e ragazzi che aveva appena acquistato la vista era suscettibile alle illusioni ottiche allo stesso modo del gruppo di controllo con sviluppo visivo tipico. La cataratta congenita rende i pazienti quasi totalmente ciechi, ma il meccanismo che permette di mantenere costante la luminosità funzionava già poco dopo l’operazione. Questo risultato indica che il meccanismo è probabilmente innato e non è un processo che viene imparato nel tempo attraverso l’esperienza.
La vista è forse il sistema sensoriale su cui l’essere umano si affida maggiormente. Così tanto in effetti che spesso non pensiamo al fatto che non ci mostra il mondo com’è. Piuttosto ci mostra una rappresentazione, utile, ma pur sempre semplificata e un po’ ricostruita che dipende dal tipo di fotorecettori presenti, dalla quantità di luce, e dal come viene ricostruita l’informazione che viene persa nel punto cieco.
Immagine di copertina: visione stock photo from HQuality/Shutterstock
Immagine dell’occhio: occhio anatomia stock photo from Designua/Shutterstock
Immagine della retina: retina fotorecettori stock photo from Designua/Shutterstock
Per approfondire
La funzione visiva: l’occhio. A cura di Purves, D., Augustine G.J., Fitzpatrick, D., Hall, W.C., LaMantia, A.-S., McNamara, J.O., White, L.E. (2009). Neuroscienze (pag. 227-258). Zanichelli. Bologna.
Sinha, P., Crucilla, S., Gandhi, T., Rose, D., Singh, A., Ganesh, S., … & Bex, P. (2020). Mechanisms underlying simultaneous brightness contrast: Early and innate. Vision Research, 173, 41-49.