Chi per distrazione, chi per rischi mal calcolati, chi per questioni di principio: anche gli scienziati a volte muoiono in modi curiosi.

Essere scienziati illustri non significa essere sempre intelligenti, razionali e prudenti. Abbiamo già conosciuto le sorti di Harry Daghlian Jr. e Louis Slotin, due ricercatori impegnati nel progetto Manhattan che ebbero la pessima idea di maneggiare una sfera di plutonio utilizzata per esperimenti nucleari senza le dovute precauzioni.

Uccisi dalle proprie creature

Alcuni scienziati hanno subito (o cercato) la morte per mezzo delle proprie invenzioni: a volte per un incidente, a volte per l’esposizione prolungata ad agenti dannosi. Fu questo il caso dell’inventore della pittura luminescente al radio: all’epoca, erano già abbastanza noti (almeno agli addetti ai lavori) gli effetti di un’esposizione concentrata a una forte dose di radiazioni ionizzanti, ma non quelli di un’esposizione cumulativa prolungata. Il chimico ucraino Sabin Arnold von Sochočky morì nel novembre del 1928 di anemia aplastica; la stessa malattia che qualche anno dopo avrebbe ucciso Maria Skłodowska-Curie, che aveva a lungo condotto le sue ricerche sugli elementi radioattivi senza alcuna protezione. 

E dire che nel 1928, a livello di cultura popolare, si credeva ancora che l’esposizione a basse dosi di radioattività fosse benefica per la salute; una convinzione che stava tuttavia cominciando a scricchiolare, poiché nel gennaio dello stesso anno era iniziato un processo intentato dalle lavoratrici della US Radium Corporation, l’azienda fondata proprio da Sochočky.  Le operaie avevano sviluppato numerose malattie (anemia, tumori ossei, fragilità ossea e necrosi della mascella) a forza di umettare con la saliva i pennelli con cui dipingevano di vernice al radio i quadranti degli orologi. La morte di Sochočky aiutò la loro causa, dimostrando la nocività dell’esposizione al radio e fungendo da apripista per il riconoscimento giuridico delle malattie professionali.

Molto più poetica fu la morte di un altro scienziato sovietico, il medico Alexsandr Bogdanov. A dire il vero, “medico” è una definizione riduttiva: Bogdanov fu anche uno scrittore di fantascienza e un attivista politico, co-fondatore del movimento bolscevico. Nella sua opera “Stella Rossa”, Bogdanov immagina che Marte sia sede di un’utopia socialista e femminista, dove i lavoratori hanno pieno controllo della produzione e del proprio regime lavorativo. Un ruolo importante in questo libro è rivestito dalle trasfusioni di sangue, che sono viste come l’equivalente medico del socialismo marziano: donare il sangue è un modo per aiutare concretamente la collettività.

Bogdanov, fondatore del primo Istituto di Ematologia al mondo, credeva fermamente che le trasfusioni di sangue potessero rappresentare una cura contro l’invecchiamento e si sottopose in prima persona a una serie di esperimenti, convincendosi di un miglioramento delle proprie condizioni fisiche. Non si sa bene per quale motivo decise di scambiare il suo sangue con quello di un proprio studente, affetto da malaria e tubercolosi. Lo studente si riprese completamente, ma Bogdanov morì, anche lui come Sochočky nel 1928. Alcuni speculano che fosse un suicidio per motivi politici, altri ritengono che Bogdanov non avesse considerato gli effetti derivanti dall’incompatibilità tra gruppi sanguigni, che all’epoca era poco compresa.

Tycho Brahe e il suo allievo Keplero in una statua che li raffigura insieme a Praga. Compagni di lavoro affiatati o acerrimi nemici?

(Immagine: PRAGUE, CZECH REPUBLIC – APRIL, 2018: Sculpture of the Danish astronomer Tycho Brahe and the German mathematician and astronomer Johannes Kepler, via Anamaria Mejia/Shutterstock)

 

Manie di persecuzione

A volte una grande mente può dover sopportare il peso di una condizione di instabilità. Si pensi a John Nash, che combatté a lungo con la schizofrenia, o ad Alexandr Groethendieck, gigante dell’algebra e della topologia e vincitore della Medaglia Fields nel 1966, che passò gli ultimi tredici anni recluso in un paesino francese, nutrendosi di zuppa di tarassaco e ammonendo i passanti dell’imminente fine del mondo. In mancanza di una diagnosi precisa, gli storici hanno motivo di ritenere che anche il poliedrico Isaac Newton avesse qualche disturbo mentale, testimoniato dai suoi ampi sbalzi di umore e dal suo evidente disagio nei rapporti sociali.

Il disturbo mentale può portare alla morte in diverse maniere; il decesso forse più singolare fu quello del matematico Kurt Gödel, ricordato soprattutto per i suoi teoremi di incompletezza, enunciati nel 1931. Secondo questi teoremi, ogni teoria formale (come l’aritmetica) contiene sempre almeno una proposizione di cui non si può dimostrare se è vera o falsa, e l’aritmetica (o qualunque teoria formale costruita come l’aritmetica) non può dimostrare la propria coerenza al suo interno, ossia con gli strumenti dell’aritmetica stessa.

Della morte di Godel abbiamo già raccontato in podcast: negli ultimi anni, le manie di persecuzione di Gödel peggiorarono, in particolare la paura ossessiva che qualcuno lo volesse avvelenare. Per questo motivo non mangiava nulla che non gli fosse stato preparato dalla moglie. Quando la moglie si ammalò e dovette essere ricoverata a lungo, Gödel rifiutò di nutrirsi e deperì fino alla morte, avvenuta nel 1978: quando lo trovarono, pesava 29 chilogrammi.
 

Lavarsi le mani può salvare la vita

Strettamente connesso al lavoro di Gödel fu quello di Alan Turing, brillante matematico, informatico e criptoanalista inglese che aiutò a decodificare i messaggi in codice ricevuti dalle truppe naziste durante la Seconda Guerra Mondiale. La vulgata vuole che, dopo essere stato condannato per “gross indecency” (un modo vago per indicare gli atti omosessuali tra uomini) ed essersi sottoposto alla terapia ormonale in sostituzione del carcere, Turing si sia suicidato nel 1954, all’età di 41 anni, mangiando una mela intinta nel cianuro.

Tuttavia, anche se il suicidio rimane la teoria prevalente, non vi sono prove né indizi forti che si sia trattato davvero di suicidio. La mela incriminata non fu sottoposta ad analisi, e si suppose che fosse avvelenata perché era stata rinvenuta, mezza sbocconcellata, vicino al suo letto. La terapia ormonale era stata interrotta più di un anno prima, e, pur essendo stato bandito dalla sua collaborazione con l’intelligence britannica, Turing aveva continuato a lavorare e condurre ricerche di buona lena. 

Turing usava il cianuro di potassio nei suoi esperimenti di galvanostegia, con cui cercava di placcare d’oro degli oggetti metallici di uso comune, come dei cucchiaini. Alcuni studiosi hanno speculato che avesse inalato il cianuro accidentalmente, a causa di un ambiente di lavoro piccolo, mal aerato e non molto ben organizzato. La madre di Turing confermò che il figlio era piuttosto disordinato, e ipotizzò che, nella fretta di ottenere nuovi risultati, non si fosse ben lavato le mani con cui aveva maneggiato il cianuro prima di prendere la mela in mano e mangiarla.

 

Questioni di etichetta

L’etichetta (è il caso di dirlo) di morte più pittoresca va però senza dubbio assegnata all’astronomo danese Tycho Brahe che, al contrario di Turing, era un uomo estremamente preciso e metodico, per quanto fonte di aneddoti: portava un naso finto di ottone dopo aver perso quello vero in duello, e aveva come animale da compagnia un alce che, a quanto pare, era sempre ubriaco (e la cui morte meriterebbe un discorso a sé). Nonostante non disponesse di un vero e proprio telescopio, le sue misure astronomiche erano talmente accurate da surclassare tutte le altre osservazioni del suo tempo, e fornirono la base per l’elaborazione delle leggi di Keplero sul moto planetario, che avrebbero permesso di superare i problemi del modello copernicano.

Proprio Keplero narrò le circostanze della sua morte. Tycho Brahe, oltre che preciso, era anche molto ligio alle buone maniere. Secondo quanto narrato da Keplero, una sera, invitato a un sontuoso banchetto di Praga, Brahe non era riuscito ad andare in bagno prima di sedersi a tavola e, per una questione di buone maniere, rifiutò di far attendere gli altri ospiti. Durante la cena, il suo noto apprezzamento per le bevande alcoliche peggiorò la sua situazione, dato che ne consumò in grandi quantità; ma mai per un secondo pensò di alzarsi dal tavolo per andare in bagno a liberarsi, poiché ai suoi occhi ciò avrebbe costituito un’imperdonabile violazione dell’etichetta. O forse ci pensò, ma comunque non lo fece.

Keplero concluse che il risultato probabile di questo strenuo esercizio di autocontrollo fu una rottura della vescica: quando tornò nei suoi alloggi, Tycho era in preda a dolori atroci e non riusciva più a urinare, se non in piccolissime quantità. Morì undici giorni dopo, ma non riposò in pace: la sua salma fu riesumata tre volte, nel 1901, nel 1996 e nel 2010. In particolare, in seguito all’esumazione del 1996 emerse il sospetto di avvelenamento da mercurio, e tra i possibili indiziati ci fu lo stesso Keplero, accusato di volersi impossessare dei suoi dati. Tuttavia un’ulteriore autopsia, effettuata nel 2010, pur trovando nei suoi capelli tracce di altre sostanze come oro, arsenico e cobalto legati alle sue attività alchemiche, escluse definitivamente l’avvelenamento. Chi lo sa: forse Brahe morì davvero di buona educazione. O forse, più banalmente, per un blocco renale già in corso e aggravato dalle circostanze.