Nei giorni scorsi abbiamo parlato dell’esperimento OPERA che, in sostanza, stabilisce che i neutrini, particelle elementari ultraleggere, manifestano un comportamento particolare chiamato oscillazione; in breve, i neutrini sono suddivisi in tre tipologie chiamate “sapori” (elettronico, muonico e tauonico) e, tramite le oscillazioni, possono trasformarsi passando da un sapore all’altro. Le osservazioni che riguardano i neutrini sono di particolare importanza perché, tra le altre cose, sono legati alla fenomenologia stellare. Le stelle infatti generano neutrini durante la loro vita, e misurare quanti neutrini solari arrivano a terra può dirci molto sulla validità dei nostri modelli teorici di evoluzione stellare. Per capire come i neutrini ci parlano del Sole, partiamo dagli esordi.

Una stella nasce in mezzo a dense nubi composte da molecole di idrogeno “freddo” (a –260 °C) dette appunto nubi molecolari. La loro temperatura e densità le rende i luoghi in ideali affinché il gas si condensi e collassi sotto l’azione della gravità. Se durante questo collasso si accumula abbastanza gas da raggiungere una massa di almeno un decimo circa di quella solare, nel cuore della stella si svilupperanno temperature superiori al milione di gradi. I nuclei di idrogeno hanno carica positiva e normalmente si respingono; queste alte temperature però forniscono loro abbastanza energia da vincere la repulsione elettrostatica ed avvicinarsi l’uno all’altro fino a compiere la fusione nucleare.

L’evoluzione successiva dipende essenzialmente dalla massa della stella. Nella parte più lunga della loro vita (chiamata sequenza principale) le stelle producono energia fondendo 4 nuclei di idrogeno (protoni) in un nucleo di elio. Non tutte però lo fanno allo stesso modo.

I modelli teorici prevedono che le stelle come Sole trasformino idrogeno in elio prevalentemente attraverso una serie di fusioni e decadimenti nucleari chiamata catena protone-protone (o catena p-p), rappresentata nella figura seguente. Due protoni si fondono e diventano un nucleo di deuterio, cioè un idrogeno “pesante” costituito da un protone e un neutrone. Successivamente, un altro protone si aggiunge al deuterio per formare 3He (elio 3), un elio “leggero” con due protoni e un solo neutrone anziché due. Infine, due nuclei di 3He si fondono e vanno a formare un nucleo di 4He (l’elio “normale” con due protoni e due neutroni) liberando due protoni ed energia. Si può notare che, all’inizio della catena, viene prodotto un neutrino di tipo elettronico, con un’energia inferiore a 0.42 MeV (detto neutrino pp), insieme ad un positrone (l’antiparticella dell’elettrone).

pp

Il ramo principale della catena protone-protone. (Fonte: wikimedia commons)

Vi sono poi dei percorsi alternativi, descritti nella figura seguente. Nella prima fase uno dei due protoni può catturare un elettrone e diventare un neutrone prima di fondersi, anziché dopo; oppure in seguito l’3He può creare due nuclei di 4He attraverso altre reazioni nucleari che producono altri elementi quali berillio, litio o boro. Ciascuno di questi sottocicli genera un tipo particolare di neutrini con energie ben identificabili.

Le varie ramificazioni della catena protone-protone, ciascuna con la sua prevalenza nel Sole; sono anche indicate le reazioni che contribuiscono al flusso di neutrini solari (pp, pep, 7Be, 8B). Come si può notare, nel Sole i neutrini pp danno il via alla sequenza nel 99,76% delle volte.

Le varie ramificazioni della catena protone-protone, ciascuna con la sua prevalenza nel Sole; sono anche indicate le reazioni che contribuiscono al flusso di neutrini solari (pp, pep, 7Be, 8B). Come si può notare, nel Sole i neutrini pp danno il via alla sequenza nel 99,76% delle volte.

Le stelle con massa superiore a due volte quella del Sole sintetizzano l’elio principalmente tramite il cosiddetto ciclo CNO, in cui si parte da un atomo di carbonio a cui si fondono via via i quattro protoni trasformandolo così in vari isotopi di carbonio (C), azoto (N) e ossigeno (O). Da ultimo, si stacca un atomo di elio lasciando indietro nuovamente un atomo di carbonio, e via da capo. Il ciclo CNO non è completamente assente nel Sole, ma si stima che dal punto di vista energetico contribuisca per meno dell’1%. Anche durante questo ciclo vengono emessi due neutrini elettronici ad energie caratteristiche.

Il ciclo CNO. (Fonte Wikimedia Commons)

Il ciclo CNO. (Fonte Wikimedia Commons)

Fino a qualche tempo fa, due terzi dei neutrini provenienti dal Sole non venivano rilevati a Terra; questo deficit veniva chiamato “il problema dei neutrini solari”. L’oscillazione dei neutrini poteva spiegare almeno in parte questo deficit, supponendo che i neutrini potessero trasformarsi appunto in altri tipi; precedentemente a OPERA, le prime evidenze di questo meccanismo si erano ottenute grazie agli esperimenti di Super-Kamiokande in Giappone e Sudbury Neutrino Observatory in Canada. Rimaneva però un problema: al contrario degli altri, i neutrini pp non erano mai stati “visti” direttamente, perché a causa delle loro basse energie il loro segnale era “soffocato” dalla radioattività ambientale; né era mai stato determinato in modo diretto il contributo dei vari rami alla produzione energetica del Sole… fino alla scorsa estate.

Nell’agosto 2014, uno studio su Nature ha illustrati i risultati conseguiti grazie al rilevatore Borexino situato a grandi profondità nei laboratori del Gran Sasso, e costituito da uno scintillatore liquido purissimo, che ha eliminato la quasi totalità delle fonti ambientali di radioattività. Il team di Borexino, composto da una novantina di scienziati appartenenti a numerosissime istituzioni italiane ed estere, ha misurato un flusso di neutrini pp compatibile con la teoria, stabilendo che circa il 99% della potenza irraggiata dal Sole (centinaia di milioni di miliardi di gigawatt) proviene dal ramo principale della catena protone-protone.

In futuro, l’esperimento raggiungerà precisioni ancora più elevate, e potrebbe permetterci di risalire alla composizione chimica del Sole, che influenza il flusso di neutrini. Una misura accurata della composizione chimica solare a sua volta potrebbe fornirci delle preziose informazioni sui meccanismi di formazione del Sistema Solare: ad esempio, se i tempi scala sono stati lenti, le stelle hanno avuto il tempo di produrre più elementi pesanti, e viceversa. Infine, misurazioni più accurate del flusso di neutrini solari potrebbero mettere alla prova il modello standard della fisica nucleare e subnucleare, gettando luce sulle proprietà e sui comportamenti meno conosciuti di queste elusive particelle.

 

Immagine di copertina: immagine in falsi colori del Sole nell’ultravioletto, fonte Wikimedia Commons.