Perchè alcuni giornalisti riescono a rendere l'idea di disperazione e fallimento allo stesso tempo. (fonte: wikipedia.it)

Perchè alcuni giornalisti riescono a comunicare contemporaneamente un senso di fallimento e disperazione (fonte: wikipedia.it)

E’ ricominciata da qualche settimana la nuova stagione de Le Iene, il programma di Italia Uno che un tempo proponeva servizi di approfondimento e denuncia… già un tempo. L’anno scorso il caso Stamina era approdato nella trasmissione grazie ad un servizio di Giulio Golia.

 

Questa pratica, senza alcun supporto scientifico, è stata fortemente sostenuta dai media sull’onda del sentimento e della compassione, ma nel frattempo ha ricevuto numerose battute d’arresto dalla comunità scientifica. In primo luogo dai NAS con la loro dichiarazione: “rischi biologici connessi alla terapia sono gravi e inaccettabili”; in seguito anche dal Ministero della Salute, dalle riviste internazionali e dalla totalità della comunità scientifica. Le pressioni sono state, però, così forti che alcuni giudici del lavoro hanno cominciato a emettere sentenze contrarie alle posizioni del Ministero e dei NAS permettendo ad alcune famiglie di riprendere il trattamento Stamina.

Per tagliare la testa al toro, il Ministero ha quindi autorizzato una sperimentazione da 3 milioni di euro, ma nelle scorse settimane la commissione scientifica che avrebbe dovuto coordinare i test ha dichiarato che le procedure così come riportate da Vannoni erano inaccettabili e quindi ha rigettato la proposta di sperimentazione rimandandola al mittente. Questione chiusa… chiusa per tutti meno che per Le Iene che piuttosto di ammettere di aver sostenuto la parte sbagliata preferiscono continuare per la loro strada. Nelle prime due puntate della stagione autunnale Giulio Golia riprende il tema e sebbene precisi che si tratti di una procedura “rischiosa e senza alcuna certezza”, il servizio è interamente incentrato sui bambini e sui loro “vistosi” miglioramenti grazie a Stamina e sul fatto che la medicina “ufficiale” non possa garantire alternative. Se da un lato si dice che il metodo non offra garanzie, dall’altro si intervistano una selezionata minoranza di genitori che sostengono di vedere dei progressi. Eppure molte famiglie mostrano estrema prudenza nei confronti di questa pratica: perché selezionare solo gli unici casi “positivi”? A carico di Vannoni ci sono 9 denunce, però intervistano solo quelli che dicono ciò che vogliono sentirsi dire.

Nel servizio del 2 Ottobre, intitolato “Scienziati contro la sperimentazione”, Golia torna all’attacco intervistando due ricercatori: il dott. John R. Bach e il dott. Marcello Villanova definiti rispettivamente “maggior esperto di SMA1 al mondo” e “massimo esperto di SMA1 in Italia”. Indovinate un po’? Entrambi ritengono importanti i miglioramenti fatti dai bambini, eppure questi medici non li avevano in cura, come hanno fatto a valutare un miglioramento? Per definizione migliorare è un’attività progressiva che richiede tempo e numerose osservazioni, ma per loro è sufficiente guardare un filmato per fare una diagnosi. Veniamo però all’aspetto più grave e grottesco di questa vicenda, ovvero i titoli attribuiti ai due medici. E’ chiaro che il servizio voglia dare autorevolezza agli intervistati pro-Stamina, tuttavia per chiunque lavori in campo scientifico è altrettanto ovvio che non esista il “maggior esperto al mondo”: non troverete alcuna classifica del genere e non credo spetti a Le Iene crearne una. Per curiosità sono andato su Scopus e ho verificato la carriera e la produzione scientifica di questi “maggior” esperti. Sia Bach che Villanova hanno un curriculum di tutto rispetto con 242 e 84 lavori rispettivamente (grazie ad Anita per la segnalazione), ma questo non è comunque sufficiente a renderli “maggior esperto al mondo” o “in Italia” (*).

Al suono di “ma perché gli esperti dei Ministero non sono mai andati a vedere questi bambini prima di bocciare il metodo?” si cerca di dipingere dei professionisti come freddi burocrati.  Ragazzi, sapete che hanno inventato le cartelle cliniche molte decine di anni fa? E sapete chi ha in mano queste cartelle che dovrebbero dimostrare i miglioramenti e l’efficacia della terapia? Vannoni! Quindi se lui le ha consegnate al Ministero, allora gli esperti sanno benissimo la condizione clinica dei bambini; se non le ha consegnate, prendetevela con Vannoni.
Insomma, Iene, dovevate chiedere scusa e invece dopo aver toccato il fondo state ancora scavando! Tutti noi, scienziati e non, siamo vicini a quei bambini e a quelle famiglie che coraggiosamente affrontano le difficoltà quotidiane, ma ritengo che chi per lavoro parla alle masse debba fare informazione. Deve informare questi genitori che somministrare cure a caso metterà a rischio la vita dei loro piccoli e non porterà alcun progresso. Trovo emblematica la frase di un genitore intervistato:

“se un giorno scoprirò che se la mia bambina avesse seguito tutta la terapia come previsto… sarebbe potuta star meglio un anno prima, un po’ meglio sei mesi prima, aver fatto delle cose in più… io sono molto arrabbiato di questo”

A questo padre, arrabbiato, si dovrebbe dire che un giorno potrebbe scoprire che quella terapia avrebbe potuto far del male alla sua bambina e che quei medici che tanto attacca e che ora biasima, in realtà stanno salvando la vita a sua figlia. Bisognerebbe dire che nel protocollo per la sperimentazione Vannoni non ha inserito la SMA1 perché ha ritenuto fosse troppo difficile valutarne i risultati. Bisognerebbe dire che amare un figlio non vuol dire sottoporlo a pratiche casuali e non sperimentate, che la sua bambina non è una cavia, ma un essere umano degno di rispetto e con gli stessi diritti di chiunque altro. La disperazione è comprensibile e deve essere terribile rimanere senza alternative, ma attaccare i medici non serve a nulla. Quello che non è né comprensibile né giustificabile è la strumentalizzazione, l’utilizzo di bambini malati per passare un messaggio anti-scientifico alla popolazione e fare audience. Qui c’è gente che muore; c’è gente che ogni giorno indossa un camice e va al lavoro sapendo che sarà impotente, che vedrà altre persone morire; c’è gente che la sera si toglie il camice e torna a casa pensando a cosa potrebbe fare il giorno dopo per riuscire a sconfiggere un male incurabile. I professionisti, quelli veri, non giocano, con telecamera e microfono, a fare le inquadrature che fruttano una manciata di ascolti in più. I professionisti, quelli veri, salvano la vita delle persone, anche di quelle che li odiano, e in cambio non ricevono nemmeno un “grazie”.

 

* Edit eseguito dopo la pubblicazione